Tra ansia e paura: differenze e somiglianze

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Ansia e paura sono codificate nella medesima area cerebrale, ma i motivi per cui si manifestano sono diversi. Nel primo caso, quando proviamo paura, siamo spaventati da qualcosa di reale. Se dovessimo sostenere un esame, è normale aver paura, ma nel momento in cui vorremmo andasse tutto secondo i nostri piani, cioè prendere assolutamente un trenta e lode, e chiaramente non si ha la certezza che questa cosa si verifichi, allora parleremo di ansia e non di paura. Insomma, l ’ansia si scatena quando si effettuano previsioni negative e catastrofiche su eventi percepiti come importanti o pericolosi.

Anche in questo caso ci sono una serie di modificazioni fisiologiche simili a quelli della paura: giramenti di testa, vertigini, senso di confusione, mancanza di respiro, senso di costrizione o dolori al torace, appannamento della vista, senso di irrealtà, il cuore batte in fretta o salta qualche battito, perdita di sensibilità o formicolii alle dita, mani e piedi freddi, sudore, rigidità muscolare, mal di testa, crampi muscolari, paura d’impazzire o di perdere il controllo. Insomma, un’esperienza molto intensa che può spaventare molto.

L’ ansia è generata spesso dalle valutazioni che si effettuano su un determinato evento, o meglio dai pensieri, previsioni il più delle volte, su quello che accadrà in futuro. Nell’incertezza che un evento possa non andare come ci piacerebbe, vorremmo controllare evenienze nefaste, a questo punto l’ ansia aumenta e si alimenta.

L’ ansia, però, potrebbe presentarsi anche senza un motivo apparente, manifestandosi in modo eccessivo e privo di ogni controllo. In questo caso si otterrà una risposta eccessiva e sproporzionata, che innescherà sensazioni di ansia future.

Da un punto di vista neurofisiologico, una possibile spiegazione di alcuni fenomeni che legano ansia e paura, quali per esempio l’ipervigilanza e l’iperallarme, potrebbe essere ricondotta all’attivazione automatica dell’amigdala, in seguito alla percezione di uno stimolo spaventoso.

Mediante la percezione visiva identifichiamo ed assegniamo significati agli oggetti che vediamo ed è in base ad essi che reagiamo, attivando una specifica area cerebrale: l’amigdala.

Le Fobie
Le fobie sono paure sproporzionate rispetto a qualcosa che non rappresenta un reale pericolo, ma la persona percepisce questo stato d’ansia come non controllabile, anche mettendo in atto strategie comportamentali o rimuginii utili per fronteggiare la situazione.

La fobia, dunque, è una paura, intensa, persistente e duratura, provata per una specifica cosa. Ma come è possibile riconoscerla? Si tratta di una manifestazione emotiva sproporzionata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia. Chi soffre di fobie, infatti, è sopraffatto dal terrore di entrare in contatto con ciò che teme: un ragno o una lucertola, etc.

I sintomi fisiologici provati da chi soffre di fobie sono: tachicardia, vertigini, disturbi gastrici e urinari, nausea, diarrea, senso di soffocamento, rossore, sudorazione eccessiva, tremito e spossatezza. Ovviamente, tali manifestazioni patologiche si attuano solo alla vista della cosa temuta o al pensiero di poterla vedere. I fobici, sono sostanzialmente degli ansiosi e come tali funzionano, nel senso che tendono a evitare le situazioni associate alla paura, ma alla lunga questo meccanism o diventa una vera e propria trappola. Infatti, l’ evitamento non fa altro che andare a conferma la pericolosità della situazione evitata e prepara all’evitamento successivo.

STRUMENTI PER GESTIRE LA PAURA
La terapia cognitivo-comportamentale ha un’elevata efficacia nel trattamento delle fobie e nella gestione delle emozioni negative, quali appunto la paura. Gli strumenti più utili a riguardo sono l’ABC e il Disputing.

Con l’ABC analizziamo le situazioni (A) in cui si attivano automaticamente determinati pensieri (B) che ci portano a provare specifiche emozioni (C). Individuati i pensieri disfunzionali, col disputing mettiamo in discussione tutto ciò che pensiamo o facciamo in automatico.

Come già scritto altrove, per ottenere questo il terapeuta effettua semplici domande, tutte in fondo riconducibili a Duna sola domanda madre: “cosa non le va in questo?”.

Ma questa domanda va adattata a diversi contesti. Nella sua formulazione originale, la domanda è particolarmente adatta a mettere in discussione l’ansia, la paura e i suoi aspetti cognitivi. In fondo si tratta di chiedere al paziente: “Cosa teme?” “Cosa c’è in questo che ci genera paura o ansia?” “Quale pericolo corriamo?”

Dopo una fase di lavoro sul versante cognitivo, è bene lavorare successivamente sul piano comportamentale (soprattutto nel caso delle fobie) attraverso l’ esposizione graduale allo stimolo ritenuto pericoloso dal paziente.

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9 Febbraio 2018

 


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